Sabato, Domenica e Lunedì
Compagnia Stabile del Leonardo, di Treviso
“SABATO, DOMENICA E LUNEDÌ” di Eduardo De Filippo
Teatro dell’ ex Istituto Psichiatrico 19 novembre
di Lunari
Una bellissima sorpresa, questa compagnia di giovani di Treviso. Formatasi qualche anno ha al Liceo Leonardo – per l’interessamento attivo di due professori di lettere, Damian e Handjaras, appassionati di teatro – ha continuato ad operare anche quando tutti i suoi membri sono usciti dal liceo. Oggi è una grossa compagnia di più di trenta elementi, “amatori” nel senso più nobile del termine, che si dedica al teatro pur tra le mille difficoltà, naturali in chi nel contempo studia o lavora. Per quanto il discorso non possa che limitarsi allo spettacolo visto in questa occasione, sono tutti molto bravi e preparati, in pieno possesso dei “fondamentali”: parlano bene, pronunciano con chiarezza, senza abbandonare le parole dopo l’accento tonico, si muovono senza alcun impaccio sulla scena, sono stati insomma ben preparati. La compagnia è mediamente assai giovane (una delle attrici più “anziane” – mi si dice ha ventisei anni), il che naturalmente comporta delle limitazioni nel repertorio (anche se allo spettacolo in oggetto partecipa nel ruolo del “nonno” il professor Handjaras, che con i suoi quarantacinque o cinquant’anni fa opportunamente la figura di Matusalemme). Queste limitazioni non sono state però prese in considerazione in questa occasione: la compagnia di giovanissimi allestisce “Sabato, domenica e lunedì di Eduardo, e difficilmente una scelta potrebbe essere più inopportuna e sciagurata. I due protagonisti – Peppino e Rosa Priore – sono interpretati da Stefano Jannaccone e Isabella Ortica: giovanissimi, dalla carnagione freschissima, con un pizzico di borotalco tra i capelli, e il ricorrente tentativo di appari – con i gesti e con i toni “vecchi” tra i 50 e i 60, come il testo imporrebbe. Non v’è solo il fastidio di vedere questi camuffamenti, che oggi non sono più tollerati e che degradano la compagnia al livello di una compagnia oratoriale vecchia maniera: vi è anche il fatto, fondamentale, dell’impossibilità per un giovane di rendere l la pesantezza, la vecchiaia, il cinismo, il pessimismo, la stanchezza di vita, il livore che l’esperienza accumula. .. tutto insomma quel groviglio di sentimenti che fanno la sostanza dei personaggi di Eduardo, qui in particolare aggravati da tormenti di lontana eco pirandelliana e intimista (“Tutto per bene”, Baci perduti” …). Isabella Ortica è inguaribilmente giovane, carina e fresca. Rettifico: forse inguaribilmente no, poiché immagino che tra trent’anni – “guarita” dal suo attuale stato anagrafico – sarà meno giovane e
meno fresca: ma mentre la vedevo in scena, non potevo fare a meno di pensare al suo posto una Pupella Maggio o addirittura una Titina, e misurare l’assurdità del compito che le si richiedeva. Così, in particolare, al suo ingresso in scena nel terz’atto: così ancora, nel dialogo sotto-finale con il marito…
Ripeto: gli attori sono tecnicamente preparati: segno di un ottimo lavoro che probabilmente risale agli anni di liceo e di cui va dato pienissimo atto ai due prof. citati più sopra; ma mi chiedo quale sia la ragione della scelta di questo testo quando 2500 anni di letteratura drammatica mettono a disposizione testi perfettamente adeguati a una compagnia di giovani: cito a caso – nel genere comico – la Lisistrata di Aristofane, Molto rumore per nulla, e Misura per misura di Shakespeare, tutto il repertorio di Feydeau (di cui in effetti la compagnia allestirà “Sarto per signora”, il teatro dell’ Aretino, lo stesso “Anfitrione” di
Kleist, “Il candeliere” di De Musset, su un piano più farsesco “La zia di Carlo” di Brandon Thomas. Su un piano drammatico “Leonce e Lena” di Biichner, “Gioventù malata di Bruclmer, “Saved!” di Edward Bond, “Rosemary’ s Baby” di (mi sfugge il nome), “Brodo di pollo con orzo” di Arnold Wesker, “I diari” di Bertoli. Etc etc: sono sicuro che a pensarci bene salterebbero fuori molti altri titoli!
Quello che pensavo potesse essere un grave limite della scelta (e cioè a dire la questione dell’accento napoletano) non si è rivelato tale. Lo spettacolo adotta delle limitate cadenze napoletane, che potranno forse fare inorridire i napoletani doc, ma che per me – lombardo – vanno benissimo: danno un giusto sapore, senza suonare incredibile e senza eccessi. Una soluzione intelligente e assai funzionale.
Lo spettacolo ha alcuni difetti: anzitutto – il professor Handjaras mi dichiara la sua inesperienza in materia – il testo non si avvale di quell’opera di potatura che è sempre opportuna e che più che mai necessaria si manifesta per certi testi scritti per altre consuetudini teatrali. Il testo (che io non amo particolarmente, ma questo è irrilevante) è oggettivamente prolisso: ed il pubblico oggi non è abituato a spettacoli che superino le due ore: un certo prosciugamento del testo (nel terz’atto si parla per quattro o cinque volte del problema delle camicie e dei pedalini!) sarebbe andato a tutto vantaggio suo e dello spettacolo! Secondo difetto, una grossa approssimazione per quanto riguarda l’illuminotecnica: le luci sono maldestre (anche relativamente a quanto è lecito oggi attendersi dalle compagnie amatoriali) e le ombre che i personaggi proiettano sui muri sono molto brutte a vedersi. Nel terz’atto, infIDe, manca del tutto (ma questo sarebbe già una belluria) quel progressivo schiarirsi del giorno che accompagna il ritorno del sereno tra i coniugi. Terzo difetto: i costumi. Che non mi pare diano l’esatto sapore dell’ambiente piccolo borghese napoletano (fatto di maccheroni, di pummarola, di “donna Rosa”, di cuore in mano, di retorica strappalacrime, etc etc,) in cui la vicenda è collocata. I personaggi vestono “bene” senza quel che di troppo o di troppo poco che dovrebbe avere e che sempre avevano negli spettacoli di Eduardo. Peppino Priore e donna Rosa sono decisamente eleganti e di buon gusto: lo stesso è a dirsi del Luigi Janiello (il sospettato) che dovrebbe avere già nel vestito qualcosa di quella rettorica sentimentale o sentimentalistica (quasi da cavaliere spagnuolo!) che lo fa esplodere nel “nobile” discorso del second’atto. Questi costumi – aggiunti al fatto anagrafico – rendono ancora meno credibili e comunque meno giusti i personaggi.
All’attivo dello spettacolo: la regia muove assai bene gli attori, e usa con molta scioltezza e credibilità lo spazio scenico. Cosa tutt’ altro che facile con un testo che mette in scena ben diciassette personaggi, spesso quasi tutti contemporaneamente. La recitazione – come già detto – è ottima: non solo tra le parti maggiori (dove comunque spiccano Isabella Ortica, che qui porrei un gradino sopra tutti gli altri, Stefano Iannaccone, Marika Tesser, Alessandro Pietropoli e lo stesso Handjaras), ma anche per quello che riguarda le parti per così dire di secondo piano: dove, per non fare che un esempio, Giovanni Tiveron (se leggo bene il nome) traccia un piccolo capolavoro con il personaggio dell’erculeo Michele. Ma soprattutto pregio della recitazione e della regia è la “misura”con cui gli attori rendono i loro personaggi: non vi è un effetto di troppo, non vi è un tono sopra le righe. E la misura – si sa – è la cosa più difficile per un attore comico, la perdita della misura è la buccia su cui scivolano spesso anche i più grandi.
Questo conferma una cosa: la compagnia del Leonardo ha delle enormi potenzialità: sia per la bravura dei singoli e del gruppo sia per l’evidente “cultura” e il gusto di chi li dirige. Credo che sia un tributo di stima “sperare” che si trovino sette spettacoli di maggiore equilibrio in modo da poter escludere questa compagnia dalla rassegna della Maschera d’oro, dove la sua partecipazione non avrebbe quell’esito che le sue potenzialità le permetterebbero. Come per un campione sportivo, dopo un infortunio: che a volte vale la pena rimandarne il ritorno, per una maggior pienezza di mezzi. Quindi, nell’assoluta certezza che un prossimo spettacolo, su un testo più adeguato, potrà dare un risultato senza nessuna contro indicazione.